La parabola discendente di Matteo Renzi

22-06-2015

A poco più di un anno dal suo insediamento come Presidente del Consiglio, Matteo Renzi sembra aver perso quel fascino irresistibile che esercitava su larghe fasce di cittadini comuni, come pure su molti uomini politici, non esclusi alcuni appartenenti ai partiti di opposizione.

Entrato nella politica italiana come un ciclone, presentandosi come “l’uomo del fare”, dopo tante promesse non mantenute dei suoi predecessori, La carica di iniziativa di Renzi si è a poco affievolita. Soprattutto si è rivelata quasi un bluff la sua capacità di affrontare i problemi reali della gente, attuando finalmente quella svolta che molti auspicavano nella difficile situazione italiana.

Aveva iniziato col mettere 80 euro in busta paga ai lavoratori dipendenti: iniziativa lodevole, di notevole impatto sull’opinione pubblica. Peccato che le risorse per attuarla siano state poi in buona parte reperite riducendo i trasferimenti economici agli enti pubblici. Così, quello che i lavoratori avevano guadagnato da una parte, è stato pagato da una platea più ampia di persone (compresi i pensionati) in termini di tagli ai servizi e di maggiori tasse locali.

E che dire della determinazione con cui Renzi ha perseguito il suo progetto di ridimensionamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in una riforma complessiva del mercato del lavoro in cui veniva fatto risaltare quello che, con un termine di grande effetto, era stato chiamato “contratto di lavoro a tutele crescenti”?

Il nuovo ordinamento non ha portato a quel rilancio dell’occupazione tanto sbandierato. C’è stata piuttosto una corsa a convertire i vecchi contatti nella nuova forma, per usufruire dei vantaggi economici che essi assicurano agli imprenditori. Il saldo tra nove assunzioni e licenziamenti rimane però desolatamente al palo; anzi potrebbe addirittura rivelarsi negativo.

Le cose non sono andate meglio per la nuova legge elettorale, la quale nei suoi equilibrismi contabili, frutto di infinite mediazioni, non ha neppure restituito ai cittadini la facoltà di scegliere i propri rappresentanti.

Ora vediamo il decisionismo, ormai di pura facciata, di Renzi misurarsi con la riforma della scuola che – stando a quanto annunciato lo scorso autunno – avrebbe dovuto stupirci per la sua carca innovativa. La delusione è stata profonda, soprattutto per gli insegnanti e gli studenti, quando si è scoperto che l’unico aspetto positivo di questa riforma sarà l’assunzione a tempo indeterminato di circa 100 mila insegnanti docenti precari, con criteri di selezione peraltro discutibili. La bontà della didattica dovrebbe essere assicurata conferendo maggiori poteri ai presidi. Come se questi fossero necessariamente “illuminati”, e quindi in grado di assicurare a chi insegna le migliori condizioni per svolgere la loro attività!

Non si parla di contenuti, cioè di nuovi programmi, di metodologie d’insegnamento, di sussidi didattici: fattori che dovrebbero trovarsi al primo posto dell’attenzione di chi si proponga di portare la scuola al passo con i tempi e farne un fattore determinante per il rilancio del nostro Paese.

Ci troviamo, ancora una volta, di fronte a una “riforma” raffazzonata, messa insieme in tutta fretta, in una prospettiva molto limitata, che si tenterà di portare avanti con i metodi prepotenti e ricattatori che ormai ben conosciamo.

Le vere riforme sono quelle che hanno come punto di partenza una visione del Paese che si vuole realizzare di qui a 5/10 anni. Quelle che tengono conto dei maggiori problemi del momento e siano dirette, in maniera sinergica, al loro superamento in tempi non troppo lunghi.

Ma tutta questo non emerge affatto dall’azione politica di Matteo Renzi. Si direbbe piuttosto che egli si muova in maniera episodica, secondo le prospettive di visibilità del momento, senza curarsi se le misure prese siano coerenti tra loro e soprattutto senza aver chiaro dove esse condurranno in un prossimo futuro.

Quel che Renzi dovrebbe fare è abbastanza scontato. Posto che l’obiettivo principale sia costituito dal rilancio economico a breve e media scadenza, egli dovrebbe agire nella direzione di dare degli stimoli immediati alla ripresa in termine di maggiori consumi e di occupazione, per poi approvare provvedimenti capaci di consolidare la ripresa e anzi renderla più vigorosa.

Come si da un impulso consistente ai consumi e quindi all’occupazione?
Con investimenti pubblici, con una riduzione delle imposte che gravano sulle classi meno abbienti (quelle che spendono tutto ciò che guadagnano nell’acquisto di beni e servizi).

I vincoli di bilancio imposti dall’Europa rappresentano un ben misero alibi. In realtà, manca il coraggio di dare un taglio decisivo alle spese improduttive, cioè a quelle che servono, direttamente o indirettamente, a foraggiare, la stessa politica.

Il commissario Cottarelli, nominato appositamente per la cosiddetta spending review, vale a dire per l’individuazione delle voci di spesa da ridurre, è stato messo, proprio dal governo Renzi, nella condizione di dover dare le dimissioni. Egli aveva scoperto, tra l’altro, una miriade di enti e società pubbliche del tutto inutili, spesso senza neppure un dipendente (ma solo con amministratori), del costo di diversi miliardi l’anno, mantenute in vita soltanto per continuare a pagare lauti stipendi a un esercito di politici trombati alle elezioni, ad amici e parenti di politici, a raccomandati di potenziali procacciatori di voti, ecc.

E la lotta all’evasione fiscale, che potrebbe portare diversi miliardi l’anno in più nelle casse delle Stato? L’anno scorso, proprio di questi tempi, era stato annunciato con grande enfasi, l’entrata in funzione del supercomputer Serpico, appositamente programmato per scovare gli evasori. Anche questa si è rivelata una pura mossa propagandistica, poiché l’evasione continua a viaggiare intorno ai 120-150 miliardi all’anno, senza che si notino sensibili riduzioni. La verità è che la lotta all’evasione fiscale fa perdere voti – come molti studiosi hanno sottolineato – ed è per questo che sia a destra che a sinistra, nessuno vuole condurla sul serio.

Inutile accennare ad altri canali da cui potrebbero essere attinte altre risorse, senza aggravi per i cittadini. I politici li conoscono benissimo, anche se fanno finta di ignorarli perché non conviene alla loro popolarità.

Matteo Renzi ha deluso profondamente, perché – ormai è chiaro – il suo ostentato decisionismo non nasce dal desiderio di fare gli interessi dei cittadini, bensì dalla fredda volontà di rafforzare sempre più il proprio potere. Non dialoga con nessuno. Dice di volersi confrontare, ascolta distrattamente gli altri, ma poi li bolla invariabilmente come conservatori, come nemici del cambiamento, e tira dritto per la sua strada.
Di questo passo Renzi perderà sempre più consensi, anche all’interno della coalizione che finora lo ha sostenuto, fino a trovarsi in minoranza in Parlamento…

A meno che egli non si ravveda in tempi brevi, cambi decisamente rotta e cominci ad attuare politiche volte a un reale miglioramento della vita dei cittadini. Riconquistare il consenso è ancora possibile, ma ci vuole la capacità di riconoscere i propri errori e muoversi di conseguenza.

I segnali in questo senso, purtroppo, non sono incoraggianti, mancando però alternative all’orizzonte, non possiamo far altro che continuare a sperare…


Parole chiave: Matteo Renzi