Vademecum per l'elettore

19-02-2013

Di fronte al desolante spettacolo offerto dai partiti italiani, di fronte alle loro promesse che si fanno ogni giorno più mirabolanti, di fronte all’esperienza del passato che, purtroppo, insegna che ben poco degli impegni presi verrà mantenuto, la relazione più normale, più umana, è quella del rifiuto: Vadano al diavolo tutti quanti! Questa volta non lo darò a nessun, il mio voto. Così imparano!

Vi è in questa presa di posizione, non di rado raggiunta attraverso una certa sofferenza interiore, un qualcosa che sa di rivincita o – se preferiamo – di vendetta: i partiti non si sono comportati come dovevano, e io li punisco facendo mancare loro il mio voto.

Purtroppo, ai politici, al di là delle dichiarazioni di facciata, il fatto che molti cittadini non vadano a votare importa assai poco. Infatti, a ben guardare, l’astensione non porta loro alcun danno: non solo si ripartiranno i posti disponibili in Parlamento in base alle percentuali degli effettivi votanti, ma si spartiranno anche i rimborsi elettorali, calcolati su tutti i votanti potenziali, anche su coloro che non sono andati a votare.

L’astensione, così come le schede bianche o le schede nulle, è un modo per sancire la propria inesistenza in quanto elettore, privo di qualsiasi effetto sui risultati ottenuti dai partiti; è una rinuncia alla scelta, lasciando le cose così come stanno. Come se si dicesse ai tanto odiati partiti: Fate voi!

Cosa ben diversa è il voto di protesta: il voto dato a una formazione politica, non perché si creda nella sua volontà o capacità di cambiare le cose, ma nella speranza che tale formazione, pur non avendo la possibilità di ottenere la maggioranza, sia in grado di opporsi ai giochi di potere dei partiti tradizionali.

I grandi partiti temono il voto di protesta, poiché esso toglie loro posti in Parlamento, perché dovranno poi fare i conti con forze del tutto nuove e difficili da tenere sotto controllo. Questo è il motivo per cui i leader dei principali partiti dedicano assai più tempo a combattere il voto di protesta che l’orientamento verso l’astensione.

A questo punto, anche se a prezzo di qualche semplificazione, credo di poter delineare con sufficiente chiarezza il quadro che si presenta all’elettore. Provo a sintetizzarlo per punti:

1) Coloro che sperano di trarre dei vantaggi da un ulteriore caduta delle regole – in particolare gli affaristi, i corruttori, coloro che prosperano ai margini della legge, i grandi evasori – devono ovviamente votare il partito di Berlusconi. E così anche quelli che hanno bisogno di farsi perdonare qualche illecito edilizio (o addirittura fiscale), commesso in passato, in previsione di un probabile condono.
Vanno invece esclusi da questo conteggio coloro che contano nell’abolizione dell’IMU. Perché vanno esclusi? Non perché ci sia il rischio che Berlusconi non mantenga la sua promessa in caso di vittoria (sarebbe davvero troppo grossa, anche per uno come lui), ma per la semplice ragione che le risorse occorrenti – circa 7-8 miliardi – dovranno essere prese da qualche altra parte. E saranno sempre i cittadini comuni a pagare, sotto forma di nuove imposte o ulteriori tagli ai servizi essenziali.
Dovremmo – ad occhio e croce – aver a che fare con un elettorato che non supera il 3-5%. Il fatto che i sostenitori del partito del Cavaliere siano molti di più, la dice lunga sull’ignoranza e sulla credulità dei cittadini italiani, e questo vale soprattutto per coloro che, come gli appartenenti alle classi sociali medio-basse, avrebbero tutto da perdere da un ritorno di Berlusconi al governo.

2) I benestanti, coloro – per intenderci – che guadagnano almeno 100-150 mila euro l’anno, possono tranquillamente votare la coalizione di Monti. Non saranno certo eventuali ritocchi per altri 5-10 centesimi al litro sulla benzina o il probabile aumento di un punto di IVA a incidere sensibilmente sul loro livello di vita.


3) La larga maggioranza dei cittadini comuni, appartenente alle categorie che più hanno sofferto della politica di rigore imposta dal governo Monti, invece, non possono che rivolgersi con speranza alla coalizione guidata da Bersani. E’ vero che, come leader, questi non si è dimostrato particolarmente deciso, è vero che i suoi programmi elettorali sono tutt’altro che chiari, soprattutto non si capisce dove si andranno a prendere le risorse necessarie per rilanciare il lavoro, non si capisce se ci sia una reale volontà di diminuire il divario tra chi ha molto e chi non ha quasi niente, e non esiste neppure alcuna garanzia che non si scivoli nella solita politica dei “pannicelli caldi”, incapace di dare una vera svolta alla situazione economica del nostro Paese, ma credo che valga la pena di provare. Se non altro, mentre abbiamo visto fin troppo bene di cosa sia capace Berlusconi, mentre sappiamo quali saranno le direttive lungo le quali agirebbe Monti, non abbiamo mai visto Bersani all’opera. Diamogli almeno una possibilità di dimostrare quello che sa fare.

4) Per coloro, che per un motivo qualsiasi, sono troppo nauseati per votare uno dei tre partiti sopra indicati, personalmente sconsiglio caldamente la scelta del non voto. Raccomando invece, e a gran voce, il voto di protesta: Grillo, Giannino, Ingroia o altri, a seconda delle proprie particolari inclinazioni, purché i rispettivi partiti abbiano una qualche possibilità di superare gli sbarramenti previsti dalla legge elettorale vigente ed entrare in Parlamento.
Il voto di protesta ha un suo peso politico perché, a differenza dell’astensione, è in grado di alterare gli equilibri all’interno delle due Camere e dare un diverso orientamento riguardo a molte questioni importanti. Per esempio, una forte presenza di grillini tra i parlamentari (che, secondo stime attendibili, dovrebbe attestarsi intorno a 60-80 rappresentanti) potrebbe dare una spinta notevole all’approvazione di una legge elettorale che restituisca ai cittadini la facoltà di scegliere i propri rappresentanti.
Così pure potrebbe accadere per la riduzione del numero dei parlamentari e dei compensi a questi riconosciuti. Ancor più decisivo potrebbe essere il contributo al varo di una rigorosa legge anti-corruzione che venga a prendere il posto di quella attuale, la quale, malgrado l’impegno del ministro Severino, si è rivelata assai lacunosa e permissiva. Su quest’ultimo provvedimento dovrebbe formarsi in Parlamento una convergenza molto ampia, che vedrebbe come unici oppositori i rappresentanti del centro-destra berlusconiano, i quali sarebbero però costretti a ingoiare il rospo per non perdere la faccia di fronte all’intero Paese.

Il voto di protesta è dunque un voto utile, che può concorrere a quel cambiamento che tutti auspichiamo. L’astensione è solo uno sfilarsi dalle proprie responsabilità di elettore, un non aver nulla da dire, che favorisce inevitabilmente il mantenimento della situazione esistente, con tutti problemi che essa porta con sé.