Scenari del dopo-elezioni

27-02-2013

I risultati delle urne, come si temeva, hanno consegnato al nostro Paese un Parlamento che renderà molto difficile formare una maggioranza stabile di governo. Il Partito Democratico è uscito da questa competizione assai malconcio, sia pur con un lieve vantaggio rispetto al partito di Berlusconi.

Lasciando da parte le recriminazioni sugli errori commessi in campagna elettorale, su ciò che poteva essere fatto e non è stato fatto, conviene a questo punto concentrarsi sulle cose da fare, sulle possibili vie di uscita dall'attuale situazione. E' chiaro che deve essere il PD a compiere il primo passo, a fare proposte, eventualmente a mediare. Il PD è l'attore principale, anche se un attore non autosufficiente.

Personalmente, comincerei con lo scartare subito due scenari, possibili ma entrambi dannosi sia per l'Italia che per lo stesso PD: il ritorno immediato alle urne e l'ipotesi di un governissimo assieme al centro-destra.
Il ritorno alle urne non offrirebbe garanzie di ottenere risultati migliori; governare insieme a Berlusconi vorrebbe dire non poter far nulla di davvero utile al Paese, impegnandosi invece in una estenuante opera di mediazione per opporsi ai provvedimenti che fanno comodo al Cavaliere, oppure in una serie di "scambi indecenti" ("io ti faccio passare questa legge, tu mi fai passare quell'altra").

L'unica strada da tentare è quella di avere un appoggio al Senato da parte del partito di Grillo. Ci sono diverse questioni su cui si può trovare una convergenza: la nuova legge elettorale, la riduzione del numero dei parlamentari e dell'importo dei compensi a questi riconosciuti, una seria legge anti-corruzione, la legge sul falso in bilancio e quella sul conflitto d'interesse. Purtroppo, la mentalità grillina, al di là di qualche dichiarazione di principio, è abbastanza restia a impegnarsi sui grandi temi dell'economia e del rilancio dell'occupazione: questioni però che richiedono di essere affrontate al più presto.

Il grosso nodo da sciogliere per il PD, in un eventuale accordo con Grillo, è quello di verificare fino a che punto quest'ultimo sia disponibile a impegnarsi, a "sporcarsi le mani" affrontando i grandi problemi del Paese, e quanto invece preferisca continuare a cavalcare il malcontento popolare con i suoi slogan truculenti, ma privi di veri spunti programmatici.

Se non c'è una possibilità reale di rilanciare crescita, impegnando in essa risorse importanti, se non ci sono spazi per una sensibile redistribuzione della ricchezza a favore delle classi più svantaggiate (che, tra l'altro, darebbe un significativo impulso ai consumi), allora è molto meglio fare in fretta quelle tre o quattro riforme su cui si riesce a trovare un accordo con i grillini e tornare alle urne con una diversa prospettiva.

Rimanere al governo senza potersi occupare di quello che serve davvero all'Italia, andando avanti per pura forza d'inerzia, vorrebbe dire riconsegnare il Paese, nel giro di un anno o poco più, alle forze di destra, in condizioni peggiori di come lo avevamo ricevuto.