Il "riformismo" di Mario Monti

17-02-2013

Abbiamo sentito spesso, nelle ultime settimane, Monti parlare di riformismo. Ha criticato la CGIL, poiché questa organizzazione sindacale gli avrebbe impedito di sviluppare fino in fondo la sua riforma del lavoro; si è scagliato più volte contro l’ala estrema del PD, e in particolare contro Vendola, giudicato un conservatore, in quanto contrario ad attuare quei cambiamenti di cui il nostro Paese avrebbe urgente bisogno.

Monti dice anche che non accetterà mai di far parte di un governo in cui siano presenti forze che si oppongono al suo programma di riforme importanti che permetteranno all’Italia di figurare tra le nazioni più moderne. Egli è dunque convinto di essere un riformatore, termine al quale si associa in genere il perseguimento di un’azione politica progressista, rivolta cioè a migliorare le condizioni di vita dei cittadini comuni, e non di ristrette élites.

Per capire fino a che punto Monti sia credibile nelle sue esternazioni, cioè quanto “spirito riformatore” ci sia in lui, è senz’altro utile andare a vedere quali sono i provvedimenti promossi dal suo governo e quali sono quelli che si propone di attuare nel caso ottenesse la maggioranza alle prossime elezioni.

Prendiamo prima di tutto in esame la sua tanto sbandierata riforma del mercato del lavoro. Monti si è più volte dichiarato convinto che la ancora troppo ridotta possibilità di licenziare costituisca uno dei motivi principali della scarsa propensione degli imprenditori a fare assunzioni. Nella sua visione, tipica di destra, diminuire i vincoli che si oppongono al licenziamento, aumentando la precarietà dei lavoratori, può contribuire notevolmente a rilanciare l’occupazione.

La realtà è ben diversa: oggi, in Italia, le aziende non assumono personale perché non ne hanno bisogno. La produzione è già così ridotta, per effetto della contrazione dei consumi delle famiglie, che i lavoratori in carico a molte aziende sono già in sovrannumero rispetto alle reali esigenza produttive. In queste condizioni, nessun incentivo, per quanto allettante, potrebbe spingere gli imprenditori a nuove assunzioni.

Per quanto riguarda le aziende estere, poi, la loro riluttanza a investire in Italia (e quindi ad assumere lavoratori) deriva da ben altri motivi che la difficoltà a licenziare in caso di bisogno. E’ stato più volte affermato da illustri economisti, e perfino da imprenditori, che non è la rigidità del mercato del lavoro a tenere lontane le aziende straniere dal nostro Paese, quanto la corruzione politica, le infiltrazioni mafiose, la burocrazia soffocante, la durata intollerabile dei processi civili…

Far crescere l’occupazione richiede allora ricette completamente diverse da quella prospettata da Monti: accanto alla rimozione dei mali endemici, tipicamente italiani, occorre predisporre una serie di provvedimenti che vadano ad agire sul duplice versante della riduzione delle imposte sul lavoro e dell’avvio di un robusto programma di lavori pubblici.
Si tratta di provvedimenti che richiedono risorse. L’ideale di Monti, come, del resto, per il suo predecessore, Tremonti, sono invece le riforme a costo zero. E a questo si deve, probabilmente, il suo insistere sulla necessità di modificare la legislazione sul mercato del lavoro come unico rimedio per combattere la disoccupazione.

L’idea che l’economia possa ripartire da sé, come per miracolo, man mano che viene risanato il bilancio dello stato, è un po’ il principio-guida che ha ispirato l’intera azione politica del governo Monti. Che l’obiettivo del rientro dal debito pubblico venga perseguito a prezzo di nuove tasse che gravano soprattutto sulle classi meno abbienti e con corposi tagli ai servizi pubblici essenziali sembra avere un peso marginale per una valutazione dell’efficacia del principio stesso. E’ interessante notare che tale principio non discende da teorie economiche ampiamente testate nella pratica. E’ piuttosto il risultato di un orientamento che i paesi più forti d’Europa hanno imposto agli altri, per evitare di doversi accollare parte dei debiti accumulati con eccessiva disinvoltura da alcuni paesi dell’area mediterranea. Orientamento a cui Monti ha più volte mostrato di essere perfettamente allineato.

Peccato che i maggiori economisti mondiali, premiati con il premio Nobel negli ultimi anni, si muovano, senza eccezione, in direzioni del tutto opposte! Dell’ampio dibattito che si svolge oltreoceano su tali questioni, in Europa, e ovviamente in Italia, non giunge alcuna eco. Quasi si trattasse di esternazioni di semplici buontemponi.
Ciò rappresenta un’ulteriore prova della natura ideologica dei principi che guidano le attuali scelte economiche della Comunità Europea.

Per rilanciare l’economia è dunque indispensabile investire e detassare in maniera mirata. Ma dove reperire le risorse occorrenti senza andare a gravare ulteriormente sul debito pubblico?
Una delle misure più ovvie per reperire le risorse necessarie sarebbe quella di imporre una tassa sui grandi patrimoni, immobiliari, imprenditoriali, finanziari. Ciò senza intenti punitivi nei confronti dei ricchi, ma nell’ottica per la quale chi ha di più, deve dare di più.
Monti ha sempre mostrato una notevole avversione verso una simile ipotesi, adducendo pretesti abbastanza ridicoli, come la difficoltà a quantificare i grandi patrimoni o il rischio di deprimere ancor più l’economia.

Un’altra strada percorribile, anche in parallelo alla precedente, potrebbe essere quella di ripensare profondamente due grandi capitoli di spesa – ciascuno del valore di diversi miliardi – legati alla realizzazione della TAV e alla commessa per la fornitura di 90 cacciabombardieri F35.

Il progetto della TAV Torino-Lione è nato nella metà degli anni ’80, quando si prevedeva un notevole incremento del trasporto su rotaia di merci e passeggeri nei successivi 20-30 anni. In realtà, è accaduto esattamente il contrario: il traffico ferroviario si è progressivamente ridotto e si prevede che si ridurrà ulteriormente nei prossimi anni.
Si va ripetendo fino alla nausea che si tratta di un’opera assolutamente indispensabile per rendere l’Italia un paese moderno e al passo con lo sviluppo delle altre nazioni d’Europa. Ma l’Alta velocità, come collegamento con i diversi paesi europei, esiste già. Solo che, essendo stata progettata molti anni fa, segue tracciati un tantino più lunghi di quelli previsti nella nuova realizzazione. Tutto qui. E bisogna aggiungere che i convogli ferroviari che oggi corrono lungo queste linee sono molto lontani dal raggiungere il pieno carico di merci e passeggeri. Ma il grande polverone sollevato attorno a questo progetto – a mio parere – non si spiega con l’utilità effettiva che esso avrà per i cittadini, quanto piuttosto con l’enorme volume di soldi pubblici che è in grado di movimentare: una vera manna per le grandi multinazionali che si sono aggiudicate fette importanti degli appalti connessi alla sua realizzazione.

Se è così – e io penso che non siamo troppo lontani dalla realtà – allora è venuto il momento di una seria pausa di riflessione. Non dico di dare subito una disdetta definitiva al progetto, ma almeno ritardarne la realizzazione attendendo tempi migliori, destinando a tale opera una minore quantità di risorse annue, e utilizzando il resto per promuovere attività più urgenti e maggiormente rilevanti ai fini della crescita.

Discorso sostanzialmente analogo si potrebbe fare per la commessa relativa alla fornitura degli F35, che ci costerà, per i prossimi 15-20, alcuni miliardi di euro all’anno.
Forse esistono motivi irrinunciabili di prestigio internazionale e di ammodernamento delle nostre Forza Armate, anche se è veramente difficile condividere l’importanza e l’urgenza attribuita dai vertici politici a tale progetto. L’aspetto più grave è però che tali aerei si stanno rivelando pieni di errori tecnici che rischiano di comprometterne seriamente il funzionamento (vedi ultima puntata di Report). Non sarà certo un caso se molti paesi hanno chiesto una revisione dei contratti. Stiamo acquistando a prezzi assurdi delle macchine da guerra che non sono ancora state completamente realizzate e che già presentano tanti di quei difetti da far dubitare che riusciranno un giorno a volare regolarmente.

Qualcuno ha sentito che Monti vuole istituire una commissione tecnica per verificare la fondatezza delle critiche sollevate contro il progetto da persone qualificate?
Neanche per idea. Il Professore ha mostrato di accontentarsi delle rassicurazioni generiche fornite dalla direzione della principale azienda che sta realizzando gli aerei, dichiarandosi quanto mai deciso ad andare avanti.

Sia nell’affare della TAV, sia in quello dei cacciabombardieri, almeno per come essi si presentano oggi, è davvero difficile riconoscere una qualche traccia di quel riformismo di cui Monti vorrebbe essere il portatore. Egli non sta difendendo gli interessi dei cittadini, non sta cercando di migliorare le loro condizioni di vita, ma sta facendo gli interessi dei grandi gruppi economici a spese della collettività.

Che Monti rappresenti gli interessi delle grandi lobby, credo che ormai possano esserci pochi dubbi. Nell’anno in cui è stato al governo, si è mostrato quanto mai rapido e deciso quando si è trattato di prendere provvedimenti che andavano a incidere sulla carne viva delle classi medio-basse. E’ stato invece molto tiepido nei confronti dei poteri forti: le banche, le società assicuratrici, le grandi corporazioni di professionisti. Il tanto propagandato programma di liberalizzazioni, che avrebbe dovuto accrescere la concorrenza, abbassando prezzi e tariffe, è rimasto praticamente lettera morta.

Per finire, due parole sull’istruzione e la ricerca, veri motori per lo sviluppo di un paese moderno, temi che dovrebbero trovarsi al centro di ogni serio programma di riforme.
Nell’anno in cui ha governato Monti, non è stato fatto nulla a favore di questi due settori, assolutamente strategici. Anzi, si è fatto di peggio: tra gli ultimi provvedimenti presi prima di dare le dimissioni, c’è quello di un ulteriore taglio di circa 300 milioni ai fondi da destinare all’università; nello stesso tempo venivano assegnati più di 200 milioni alle scuole private…

Io penso che c’è abbastanza per classificare Monti tra i peggiori conservatori della storia italiana degli ultimi decenni, eccettuato Berlusconi, s’intende. Anche se quest’ultimo, più che un conservatore, andrebbe considerato uno che è attento soprattutto ai propri interessi.


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