Il crepuscolo di un leader politico
Il disegno perseguito da Bersani si delinea in maniera sempre chiara: fallito il tentativo di un accordo con Grillo, per l’indisponibilità di quest’ultimo a impegnarsi in responsabilità di governo abbastanza gravose e forse poco remunerative dal punto di vista della visibilità, respinta la possibilità di un governissimo con il PdL, per non correre il rischio di scissioni interne al PD, non rimane che l’attesa. Attesa di che cosa?
Napolitano si è rifiutato di dare un incarico per la formazione di un nuovo governo in mancanza di una maggioranza certa che possa sostenerlo. Essendo a fine mandato, non può sciogliere le Camere e indire nuove elezioni; ecco quindi la trovata di nominare una “commissione di saggi” che elabori un programma delle cose più urgenti da fare, ma soprattutto per coprire l’intervallo di tempo che ci separa dalla nomina del prossimo Presidente della Repubblica.
Il lavoro stilato dai saggi finirà probabilmente in qualche polveroso scaffale in cui nessuno andrà mai a cercarlo, ma ormai siamo giunti alla vigilia della data prevista per l’inizio delle votazioni da cui uscirà il nuovo Capo dello Stato, ed è questo che conta.
Il “calcolo” di Bersani è che il nuovo Presidente, a differenza di Napolitano, gli conferisca un incarico pieno per tentare di formare un governo. Poco importa se, senza Grillo e senza Berlusconi, un simile governo, ammesso che riesca a vedere la luce (favorito magari da qualche “traditore” tra i grillini, da un possibile abbandono dell’aula al momento della votazione da parte della Lega, da eventuali assenze concordate di nascosto con il centro-destra), non potrà che essere estremamente precario, instabile, un “governicchio”, insomma. Altro che governo per il cambiamento! Il governo a cui sta mirando Bersani, salvo importanti cambiamenti negli assetti dell’ultima ora, non potrà che vivacchiare qualche mese, senza concludere nulla di serio, portandoci inevitabilmente a nuove elezioni, probabilmente entro l’anno.
Completamente assorbito dall’obiettivo che si è prefisso, Bersani appare completamente sordo agli appelli di Napolitano, della Confindustria, dei sindacati, sulla necessità di dare al più presto un governo al Paese. Come sembrano non sfiorarlo i bollettini drammatici sfornati quasi giornalmente dalle diverse istituzioni sullo stato disastroso della nostra economia. Non ha neppure fatto un serio tentativo di andare a vedere fino a che punto le “aperture” del PdL possano tradursi in punti programmatici, condivisibili anche per Partito Democratico. Poiché – è chiaro - qualsiasi ipotesi di governo Pdl-PD, anche a scadenza, non può che avere come punto di partenza un accordo ben definito sulle cose che si possono fare insieme.
Era una possibilità che andava esplorata, in modo da non lasciare nulla di intentato per fare qualcosa di utile per il nostro Paese. Anche se probabilmente ciò avrebbe comportato qualche compromesso, qualche mediazione tra posizioni diverse (purché entro certi limiti). Ma questo è nella natura della politica, in generale.
Bersani ha preferito percorrere la strada dell’attesa: la strada che potrà forse portarlo alla formazione di un governo di secondo o terz’ordine, di breve durata, che avrà sicuramente ripercussioni negative sull’Italia e sul suo stesso partito. La sua sorte come leader è comunque segnata, sia che riesca nel suo discutibile tentativo, sia che non riesca e ci conduca a nuove elezioni: molto presto il Partito Democratico avrà un nuovo leader.