Disuguaglianza sociale e sviluppo economico
Il liberismo economico, secondo cui la libera competizione fra diversi i soggetti porterebbe al benessere per tutti, raccoglie smentite crescenti. L’ultima, in ordine di tempo, è quella proveniente dall’economista, Premio Nobel, Joseph Stiglitz.
Stiglitz ha recentemente enunciato un teorema, per il quale quando la disuguaglianza tra gli individui aumenta, il PIL tende a diminuire fino a diventare negativo. In altre parole, nei paesi in cui i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri il prodotto interno lordo inevitabilmente ne risente.
Il teorema di Stiglitz ha come punto di partenza l’osservazione che i ricchi generalmente spendono per i consumi solo una quota ridotta dei loro redditi, mentre le classi economicamente disagiate sono portate per lo più a spendere tutto ciò che guadagnano. Perciò, se il reddito complessivo di un dato paese si concentra in poche mani, diminuiscono inevitabilmente i consumi, con conseguente stagnazione dell’economia. A sostegno della propria tesi, Stiglitz indica la straordinaria corrispondenza tra l’aumento delle disuguaglianze sociali (misurato dal cosiddetto indice di Gini) e i periodi di gravi crisi economiche, in particolare quelli del ’29 e quello attuale. Mentre c’è stata una indubbia fase di prosperità a cavallo degli anni ’50-’70, quando le disuguaglianze sociali diminuirono sensibilmente. Senza contare che nel raffronto tra paesi, anche a livello europeo, risulta che quelli scandinavi, che sono tra quelli dove l’economia va meglio, hanno anche un indice di disuguaglianza minore rispetto ai paesi mediterranei, nei quali la crisi economica si fa maggiormente sentire.
Le conclusioni di Stiglitz rappresentano un duro colpo alle idee economiche tipiche della destra, per le quali è controproducente imporre maggiori tasse sui redditi più elevati per evitare di gravare eccessivamente sulle classi più povere. Non solo. E’ anche la politica economica complessiva posta in atto dall’Unione Europea (su cui si sono basate quasi tutte le scelte del fu governo Monti) a essere messa in discussione. La politica dei tagli indiscriminati che va a colpire pesantemente i servizi sociali di cui usufruiscono soprattutto le classi meno abbienti, i numerosi balzelli fiscali che gravano maggiormente sulle stesse classi, agiscono in una direzione del tutto opposta a quella suggerita dagli studi di Stiglitz, ai fini di un rilancio dell’economia.
Personalmente, credo che esistono anche altri fattori, sostanzialmente indipendenti dal dislivello tra chi ha molto e chi non ha nulla, che intervengono significativamente sulla crescita economica. Penso, ad esempio, all’importanza degli investimenti pubblici, al contributo che può offrire la ricerca e l’innovazione tecnologica, senza dimenticare il freno all’economia rappresentato dalla corruzione, dall’inefficienza dell’amministrazione pubblica, nonché dalle spese improduttive, dagli sprechi, con particolare riferimento alle cosiddette spese della politica.
Tuttavia, in una politica seriamente orientata alla crescita è indubbio che non vadano trascurati dei consistenti interventi volti a una redistribuzione della ricchezza a favore delle classi più povere. Che vuol dire: lotta senza quartiere all’evasione fiscale, una maggiore tassazione sui redditi più elevati (con contemporanei sgravi fiscali sulle famiglie in difficoltà) e anche (perché no?) una tassa sui grandi patrimoni, che può essere sopportata senza gravi danni da chi li possiede.