Quelli che dovevano salvare l'Italia: come il “governo dei professori”, tra menzogne, omissioni e ritardi, sta affossando il nostro Paese

25-07-2012

Il governo dei tecnici, presieduto da Mario Monti, si prospettava all’inizio del suo mandato come l’unica possibilità per evitare che l’Italia precipitasse nel baratro. Il governo Berlusconi, composto per lo più da incompetenti, attenti soprattutto a mantenere il consenso, appariva assolutamente incapace di affrontare la situazione.

Purtroppo le attese iniziali sono state largamente deluse. Monti si è dimostrato, sì, in grado di prendere provvedimenti d’urgenza per riportare sotto controllo la situazione economica italiana. Ma lo ha fatto colpendo le classi più deboli, quelle già duramente provate dalla crisi. Non c’è stata la promessa equità, uno dei cardini a cui avrebbe dovuto essere improntata l’azione di governo. Monti, dall’altezza delle sue competenze economiche, non ha capito (o non ha voluto capire) che far pagare il risanamento dei conti pubblici in buona parte a chi già fatica ad arrivare a fine mese, non è soltanto un’ingiustizia sociale, ma un vero e proprio errore dal punto di vista economico. Imporre tasse elevate alle classi medie-basse significa ridurre massicciamente il reddito disponibile per acquistare di beni, significa deprimere i consumi e di conseguenza mettere le aziende nella condizione di dover ridurre la produzione, licenziando lavoratori, diminuendo gli investimenti, esponendosi al rischio fallimento. Cosa che invece non accade (o accade in misura molto minore) se ci si rivolge soprattutto alle classi ad alto reddito.

In effetti, di aziende che hanno dovuto chiudere i battenti, ne abbiamo avute (e ne avremo ancora) moltissime: aziende che non pagano più tasse allo Stato, lavoratori che non hanno più reddito e per i quali bisogna prevedere sussidi…

La teoria – anzi, l’ideologia dominante nel pensiero di destra, largamente diffuso tra chi oggi è alla guida dell’Europa comunitaria – è che, risanando i conti, si avvia a poco a poco, come per miracolo, un circolo virtuoso: torna la fiducia nei consumatori, si riprende a consumare, le aziende a produrre e ad assumere. L’economia entra in una fase di sviluppo.

Questo può però accadere solo in un contesto internazionale in forte espansione. Non certo nelle attuali condizioni di crisi generalizzata. In un simile situazione, non ci si può aspettare altro che un progressivo peggioramento: un avvitarsi dell’economia su se stessa, con un debito pubblico che continua ad aumentare (diminuiscono le entrate tributarie), con conseguente necessità di imporre nuove tasse, con ulteriore contrazione dei consumi…

E’ la situazione in cui si mostra avviata, senza via di scampo, la Grecia. I prestiti ricevuti hanno momentaneamente alleviato le difficoltà. Ma non durerà per molto. Presto la Grecia dovrà chiedere nuovi aiuti, perché la sua economia continua a peggiorare e non può sostenersi da sola. Poi sarà la volta della Spagna, e quindi dell’Italia…

Menzogne. Cosa manca, cosa è mancato, nella politica del governo di Monti? E’ mancata l’attenzione alla crescita. Tanto sbandierata, tanto auspicata, discussa, ma mai attuata. Neppure iniziata.
Il governo Monti ci ha inondato di chiacchiere, parlando prima di 100 miliardi destinati allo sviluppo, poi di 80… fino all’osservazione di Alfano – una delle poche cose sensate da lui dette durante l’intera sua vita politica – secondo la quale, in realtà, di disponibile, c’era soltanto un miliardo. Tutti gli altri erano solo virtuali.
Monti ci ha raccontato balle. Non solo. Quel miliardo che si diceva già stanziato, non si è ancora cominciato a spendere. Per la crescita. Di menzogne, il governo Monti, ce ne ha raccontate parecchie. A cominciare da quella riforma delle pensioni, riforma che – ci spiegavano – sarebbe servita ad assicurare una pensione ai giovani, ai nostri figli. Senonché, appena approvata, si è utilizzata quella copertura economica per pagare più di 2 miliardi di una rata dell’assicurazione contro il rischio default che tutti gli stati sono tenuti a stipulare. Altro che pensioni per i giovani: la riforma serviva semplicemente a “fare cassa”!
Vogliamo parlare della riforma del lavoro, “assolutamente necessaria per dare al nostro Paese una regolamentazione moderna capace di competere nei mercati internazionali e di attrarre nuovi capitali, equivalente sul piano economico a 200 punti in meno di spread”?
Mesi a discutere sull’art. 18 (altro argomento puramente ideologico), nella prospettiva di rendere più facile l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro (ancora una volta i nostri figli), per arrivare a un risultato inconsistente e pasticciato che ha scontentato sia imprenditori che sindacati.
La riforma del lavoro targata Monti non favorirà le assunzioni perché il lavoro non c’è. Del resto, gli stranieri non vengono a investire in Italia per ben altri motivi che la difficoltà a licenziare, come affermato da autorevoli imprenditori: la burocrazia soffocante, la pubblica amministrazione che non paga i suoi debiti, la corruzione dilagante… E stendiamo un velo pietoso sulla questione degli “esodati”, che, secondo la ministra del lavoro erano solo 65.000, mentre il loro numero è assai maggiore. La ministra non lo sapeva? Ma è credibile che un ministro del lavoro non sappia (o non sia in grado di sapere, se lo vuole) quanti sono coloro che sono interessati a un pensionamento anticipato, stabilito da accordi stipulati da funzionari del ministero, accordi di cui esiste sicuramente una copia in qualche archivio del ministero stesso?
Ultima menzogna, o meglio presa in giro dei cittadini. Vi ricordate lo “sportello web” aperto appositamente per raccogliere i suggerimenti dei cittadini riguardo alle voci di spesa da prendere in considerazione per la revisione della spesa (spending review)?
Vi sembra possibile che i cittadini abbiano suggerito di ridurre i posti letto negli ospedali (quando già adesso bisogna tenere i malati nei corridoi e sulle lettighe per mancanza di spazi adeguati)? O di chiudere i piccoli tribunali, ridurre ulteriormente i fondi per l’istruzione, per la ricerca e per la cultura in genere? Non vi sembra invece più che ovvio che abbiano chiesto una riduzione degli stipendi dei parlamentari (i più alti d’Europa), una riduzione del numero dei parlamentari stessi, l’abolizione degli scandalosi vitalizi ancora previsti per i consiglieri di molte Regioni italiane, l’eliminazione (o l’accorpamento) delle più di 3.000 società miste che ruotano attorno agli enti locali (con i relativi consigli di amministrazione, sedi, segreterie, spese per l’energia elettrica, il telefono…), una riduzione consistente dei miliardi destinati alle spese militari (caccia bombardieri, elicotteri da combattimento e tanto altro)? Il comportamento di Monti in questo caso si è rivelato molto simile a coloro che talvolta ci fermano per strada col pretesto di un’intervista. Salvo accorgerci poco dopo che ci vogliono vendere un’enciclopedia o un corso di lingue.

Ritardi. Cominciamo dalla crescita. Doveva essere uno dei cardini del rilancio dell’economia italiana. Poiché, senza sviluppo, le aziende non ricominciano ad assumere, i lavoratori non aumentano di numero, l’importo complessivo delle tasse pagate si riduce e il debito cresce sempre più.
Non si è fatto praticamente niente, rimanendo in attesa che fosse l’Europa e prendere iniziative in tal senso. Non si poteva incominciare noi, nel frattempo?
Bisognava ridurre la burocrazia che costringe le aziende a pratiche lunghe e costose (scoraggiando gli stranieri a investire in Italia). Non si è ancora cominciato a pensare seriamente a come affrontare questo problema. Bisognava prendere dei provvedimenti seri contro la corruzione, altro cancro tipicamente italiano, che ha per noi tutti un costo complessivo stimato interno ai 60 miliardi annui. C’è da mesi in discussione una legge anti-corruzione, debole, piena di buchi, che nonostante tutto non si riesce ad approvare per la decisa opposizione del centro-destra.
Non c’è coraggio, non c’è – da parte del governo – quella determinazione che abbiamo visto all’opera quando si trattava di colpire i redditi dei cittadini comuni.

Omissioni. Qui ritorniamo alla questione dell’equità. Vi pare ragionevole che le classi sociali medio-basse debbano piangere lacrime amare, mentre i ricchi, se proprio non ridono, possono continuare tranquillamente a fare la bella vita di sempre, neppure sfiorati dalla crisi in atto? Non si poteva imporre una robusta tassa sui loro patrimoni che consentisse di alleggerire la pressione fiscale sugli altri contribuenti?
Era proprio necessario esentare dall’IMU le fondazioni bancarie, che ogni anno intascano dividendi per miliardi di euro? Era necessario continuare a dare soldi alle scuole private (esentando anch’esse dal pagamento dell’IMU) che comunque rimangono un lusso per i ricchi?

Rimedi possibili. Credo che oggi la situazione, malgrado la maggior parte dei politici sembra pensarla diversamente, sia peggiore di quella che trovò Monti nello scorso novembre. Infatti, allora c’erano ancora molte “cartucce” da sparare. Oggi invece sono stati posti in atto tutti i provvedimenti compatibili con gli orientamenti (leggi ideologia) dell’attuale governo: non sembra esservi più molto da fare se non imporre ulteriori tagli o tasse, sperando che, alla fine, in Europa maturi qualcosa di nuovo…

Negli ultimi tempi, Monti si è dato molto da fare perché venga istituito un “fondo salva stati” europeo, capace di intervenire quando la speculazione si accanisce contro i Paesi più deboli. E’ un’iniziativa utile, che può offrire maggiore spazio di manovra a chi è in difficoltà. Ma non è la soluzione. La soluzione è agire in modo deciso per la crescita, sia a livello nazionale che a livello europeo.

Per quel che ci riguarda, le cose che si potrebbero fare per tentar di riportare l’economia italiana sui giusti binari sono molte, anche se oggi esse sarebbero probabilmente meno efficaci di quanto lo sarebbero state alcuni mesi fa. Porle in atto comporterebbe però un drastico mutamento di prospettive, un vero e proprio capovolgimento dei principi che hanno finora guidato l’azione del governo Monti. Si tratterebbe, in breve, di reperire nuove risorse da destinare allo sviluppo del nostro Paese, senza però gravare ulteriormente sulle classi sociali medio-basse.
Provo a suggerire, per punti, alcune idee, fra le tante possibili:

1) Imporre subito una consistente patrimoniale (da 10-12 miliardi, sui beni che superano il milione di euro, preferibilmente con aliquote differenziate per scaglioni di valore), per disporre di risorse da destinare alla crescita.
A cosa dovrebbero servire le risorse così ottenute? Ecco, anche qui, alcune idee:

a) dare il via a una serie di interventi di cui si avverte un gran bisogno nel nostro Paese. Più che delle grandi infrastrutture di cui si parla spesso, vedrei con maggior favore un gran numero di iniziative a livello locale che riguardino soprattutto la riqualificazione del territorio (messa in sicurezza delle zone a rischio frana o inondazioni) e la salvaguardia del dell’ambiente (bonifica delle tante discariche abusive sparse un po’ in tutta l’Italia).

b) Varare corposi sgravi fiscali a favore delle aziende che investono in ricerca e innovazione, privilegiando quelle ad alto contenuto tecnologico o che operano nel campo delle energie rinnovabili o della difesa dell’ambiente.

c) Sgravi consistenti (anche del 50%) per tutti coloro (privati o aziende) che:
- offrono contributi per la difesa o la valorizzazione dei beni culturali, grande ricchezza italiana, ingiustamente trascurata;
- contribuiscano al rilancio dell’istruzione e dell’università (anche istituendo borse di studio, dirette soprattutto a sostenere gli studenti più meritevoli con scarsi mezzi economici);
- danno un contributo per la ristrutturazione degli edifici scolastici, molti dei quali ormai fuori da qualsiasi norma di sicurezza.
Spesso simili sgravi sono da considerare praticamente a costo zero, perché se a prima vista richiedono un notevole impegno di risorse, in realtà fungono da volano dell’economia, restituendo, sotto forma di maggiori imposte, spesso più di quanto si era investito inizialmente. Del resto, questo è precisamente ciò che ha fatto la Francia per favorire la cultura (con sgravi che, in alcuni casi, raggiungono il 60%): si è visto che il ritorno economico per lo Stato è abbondantemente al di sopra di quanto effettivamente speso.
In termini molto semplici, le cose funzionano così: nuove risorse danno il via a nuove attività, che richiedono nuovi materiali, sui quali sarà pagata l’IVA; si dovranno assumere nuovi lavoratori, le cui buste paga saranno tassate, mentre gli stessi lavoratori disporranno di reddito da spendere per comprare beni di consumo che altrimenti non si sarebbero potuti permettere; quindi: aumento della domanda, con conseguente aumento della produzione...
Le maggiori entrate prodotte dalla patrimoniale permetterebbero inoltre di utilizzare le risorse recuperate con la lotta all’evasione fiscale per quella riduzione delle tasse sul lavoro, tante volte auspicata, qualche volta addirittura promessa, ma mai concretizzatasi in provvedimenti effettivi.

2) Introdurre dal 2013 una ulteriore aliquota al 46-47% sui redditi che superano i 100-120 mila euro. E’ difficile che con questa entrata aggiuntiva si riesca a ridurre in maniera generalizzata le tasse sul primo scaglione di redditi, ma almeno questo si potrebbe fare: applicare sgravi alle famiglie a basso reddito, con particolare attenzione a quelle numerose.

3) Procedere senza ulteriori indugi alla vendita dei beni pubblici, utilizzando le relative entrate per:
a) pagare i debiti con le aziende (anche attraverso trasferimento mirati agli enti locali). Si ridurrebbe così lo stato di sofferenza in cui versano molti imprenditori italiani, spronandoli a nuovi investimenti, o almeno a tenere duro in attesa di tempi migliori;
b) Ridurre la quantità dei titoli pubblici previsti per le prossime emissioni, o addirittura ricomprare parte dei titoli già emessi.

4) Istituire un’agenzia nazionale per l’utilizzo dei fondi comunitari. I funzionari di questa agenzia dovrebbero affiancare, in qualità di consulenti, gli enti locali per aiutarli a sviluppare progetti, portandoli opportunamente a compimento, con l’obiettivo globale di utilizzare integralmente i fondi messi a disposizione per il nostro Paese.
Non deve più accadere che rimangano miliardi non spesi, per indolenza o per incapacità degli amministratori locali. Anche questo può contribuire a dare un impulso alla crescita.

5) Istituire un fondo (100-200 milioni l’anno) per garantire le banche dal mancato pagamento dei mutui-casa da parte dei giovani precari. Si tratterebbe di intervenire in tutti quei casi in cui il contraente non è più in grado di pagare il mutuo, con conseguente vendita all’asta della casa. Il fondo dovrebbe andare a coprire l’ eventuale differenza tra l’importo ancora da versare e il ricavo ottenuto dalla vendita dell’immobile.
Le banche verrebbero così garantite e sarebbero maggiormente disponibili a concedere mutui. Per lo Stato, il costo sarebbe irrisorio, e potrebbe addirittura trasformarsi in guadagno. Se si considera che, tra tutti i mutui concessi, solo una piccola percentuale non viene onorata, e che su ogni compravendita lo Stato incassa, a titolo di imposta di registro, almeno il 3% sull’intero valore dell’immobile, se si considera che maggiori vendite significano maggiore richiesta e quindi rilancio del settore costruzioni, si capisce facilmente che non si tratta di fantascienza.

6) Varare subito una legge anticorruzione lineare e rigorosa, come richiede l’attuale situazione italiana. Il ministro Severino deve farsi promotrice di una legge che “non guardi in faccia a nessuno” e presentarla con decisione in Parlamento, dopo aver spiegato diffusamente ai cittadini (a mezzo giornali e TV) perché essa è necessaria. E’ alquanto improbabile che, con le elezioni imminenti, i notabili del centro-destra oserebbero prendersi la responsabilità, davanti ai cittadini, di bocciare la legge.

Come è facile rendersi conto, tutti questi provvedimenti tendono ad agire in sinergia sul duplice versante dello stimolo alla crescita e di una contenuta riduzione della pressione fiscale sulle classi meno abbienti. Certo, effetto ben maggiore essi avrebbero se in tutta Europa si prendessero iniziative analoghe. Ma non possiamo limitarci ad aspettare, sperando che i Paesi più conservatori cambino il loro orientamento.
Prendendo noi l’iniziativa, potremo muovere i primi passi verso quella ripresa che, al momento, appare un miraggio assai lontano, e nello stesso tempo potremo diventare un esempio da seguire per altre nazioni.


Parole chiave: Mario Monti politica economia