Il governo Berlusconi e la questione della crescita

06-10-2010

Le iniziative per la crescita, promesse a gran voce, vengono continuamente rimandate da questo governo di incapaci. L’impressione dominante è che non si sappia che pesci prendere: di fronte alle prese di posizione che vengono da più parti sulla necessità di rilanciare l’economia asfittica del nostro Paese, si oppone la concezione di Tremonti delle “riforme a costo zero”.

Il risultato finale che questi signori partoriranno tra qualche settimana sarà qualcosa di assolutamente ridicolo (aspettano a presentarcelo, perché in fondo se ne vergognano): si limiterà a un ulteriore allentamento dei vincoli che regolano i rapporti di lavoro, le costruzioni edilizie, l’iniziativa privata in genere. Con la conseguenza di un aumento del lavoro nero, del precariato, degli incidenti sul lavoro, un aumento degli abusi sui nostri territori di maggior valore, una crescita dell’illegalità.

Sono riforme che non costano nulla, ma non servono a rilanciare l’economia. Nell’ideologia che domina le destre più retrive, la crisi è l’effetto dell’eccesso di regole. Sopprimendo le regole, fiorisce, come d’incanto, lo sviluppo. Fanno finta di non sapere – i nostri attuali governanti – che il mondo occidentale si trova in crisi proprio perché sono mancate le regole che impedissero a certi colossi della finanza internazionale di imbarcarsi in spregiudicate speculazioni che hanno ridotto in miseria milioni di persone.

Per rilanciare l’economia c’è bisogno di risorse: da utilizzare nell’incentivazione delle aziende che investono in innovazione e ricerca, che assumono personale invece che licenziare; da utilizzare nella costruzione di infrastrutture veramente utili all’Italia (non quelle che servono solo per il prestigio dei politici, come il fantomatico Ponte sullo Stretto); per rendere più veloce la giustizia; per semplificare la legislazione (non eliminarla), ecc.

Le risorse si reperiscono combattendo seriamente l’evasione fiscale e, nell’attesa che questa dia i suoi frutti, imponendo per due o tre anni una patrimoniale non esagerata sui beni che superano 1-1,5 milioni di euro. I ricchi non piangeranno certo per questo (tant’è vero che perfino la Confindustria si è detta favorevole a tale provvedimento), e i benefici sarebbero per l’intero Paese.

Purtroppo… i governi di destra sono fortemente contrari ad aumentare le tasse sui ricchi poiché, secondo la loro ideologia, tassare le classi più agiate riduce la loro propensione ad investire, e quindi ha effetti depressivi. Ne abbiamo avuto un chiaro esempio negli USA, dove Obama ha visto bocciata dai conservatori la sua proposta di far pagare qualcosa di più ai ricchi; lo abbiamo visto dalle reazioni scomposte di alcuni rappresentanti della nostra maggioranza di fronte alle proposte di una piccola patrimoniale.

Dovremo quindi accontentarci delle tremontiane “riforme a costo zero”, che non porteranno alcun beneficio all’economia, costringendoci nel giro di pochi mesi a subire nuove manovre di bilancio per evitare la bancarotta.


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