Complessità ontologica e riduzione metodologica. Una prospettiva della libertà basata sul processo
In un saggio pubblicato recentemente, Vincenzo Tagliasco e Riccardo Manzotti affrontano il problema della libertà umana in un'ottica che, almeno nei propositi iniziali, presenta risvolti non privi di una certa originalità.
In effetti, alcune affermazioni, che compaiono nello scritto in questione, riguardanti problematiche solitamente lasciate in ombra dagli autori che si occupano della libertà, sembrano prospettare scenari sostanzialmente nuovi, alimentando notevoli aspettative nel lettore. Tagliasco e Manzotti, ad esempio, si soffermano ad osservare che la relazione causale esistente tra la mente e il mondo si esplica in due direzioni distinte (dal mondo alla mente e dalla mente sul mondo). Il che implica l'esistenza di due forme principali di coscienza: una fondamentalmente passiva, alimentata soprattutto dalle sollecitazioni percettive che provengono dall'ambiente, e una attiva, che riguarda invece la nostra capacità di compiere scelte e di avere un controllo volontario sulle azioni intraprese. Si tratta di una distinzione che si rivela di fondamentale importanza non appena si consideri che la volontà, massima espressione del nostro essere liberi, in fondo, non è altro che coscienza nella sua forma attiva. Tagliasco e Manzotti mostrano di condividere, almeno nelle sue linee essenziali, questa concezione, spingendosi anzi ancora più in là, con il riconoscimento esplicito che non può esservi libero arbitrio al di fuori della coscienza.
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