Metodo dialettico e società aperta nel pensiero di Karl Popper

10-02-1982

Si tratta della mia tesi di laurea, nella quale vengono prese in esame le critiche mosse da Karl Popper alla dialettica, nell'ottica di evidenziarne i limiti sia alla luce della stessa metodologia popperiana (falsificazionismo), che ponendole a confronto con le più importanti obiezioni che a questa metodologia sono state sollevate dalla letteratura critica.

Un discorso sulla dialettica in Popper conduce inevitabilmente a un discorso assai più ampio sulle idee politiche e sociali di questo autore, nonché sulla sua più generale prospettiva epistemologica. Come si vedrà, infatti, il tema della critica alle posizioni dialettiche nel pensiero popperiano è strettamente connesso a quello della critica alle concezioni storicistiche in genere, mentre entrambi vengono fatte discendere dal metodo della falsificazione, messo a punto originariamente con l’occhio rivolto alle scienze naturali.

critica di Popper alla dialettica deve, comunque, essere intesa come un preludio, una preparazione, quasi un affilare le armi per la critica maggiormente impegnativa delle tesi storicistiche. Poiché, il bersaglio finale di Popper non è la dialettica in se stessa, bensì ciò che questa rappresenta per l’affermazione delle concezioni totalitarie moderne che su essa si basano: concezioni caratterizzate, secondo Popper, da forti componenti storicistiche.

Nel suo duplice aspetto, la mia analisi tenderà, da una parte, a porre in rilievo che l’eccessiva severità mostrata da Popper nei confronti della dialettica non appare del tutto giustificata razionalmente sulla base del metodo falsificazionista a cui egli si ispira: poiché, tale severità, che riposa sostanzialmente sulla rigida prescrizione che le contraddizioni vengano eliminate senza esitazioni, contrasta in modo stridente con la "liberalità metodologica" professata dallo stesso Popper in quasi tutti gli altri suoi scritti. D’altra parte, si vedrà come certe obiezioni di fondo, sollevate contro la concezione falsificazionista finiscano col mettere in crisi le argomentazioni di cui Popper si serve per confutare le posizioni dialettiche.

Riguardo al primo aspetto, si può dire che il precetto popperiano abbia origine da un indebito trasferimento del principio di non-contraddizione dal campo della logica pura a quello della metodologia della scienza. Infatti, mentre su un piano meramente logico, la contraddizione tra due enunciati è indice certo della falsità di almeno uno di quegli enunciati, altrettanto non si può dire con riferimento all’attività scientifica, dove la contraddizione tra dati empirici (asserzioni singolari di osservazione) e teorie (asserzioni universali) non implica una conclusione così netta. Essa rivela piuttosto una tensione, una inadeguatezza, che non coinvolge soltanto la teoria e le osservazioni in oggetto, bensì l’intero sistema scientifico in cui questi sono inseriti.

Riguardo al secondo aspetto, si esaminerà il cosiddetto “problema della base empirica”, che verrà usato come filo conduttore per addentrarsi nelle posizioni di alcuni autori (Hanson, Kuhn, Feyerabend e Lakatos), con particolare attenzione alla possibilità di descrivere i fatti della scienza tramite un linguaggio osservativo che non implichi teorie.

Soprattutto dalle tesi di Lakatos si possono - a mio avviso - ricavare degli spunti interessanti da opporre alle posizioni anti-dialettche popperiane. Il più importante di essi è costituito dall’osservazione che il falsificazionismo di Popper, anche nella sua versione più aperta (che non è certo quella a cui si ispira la critica alla dialettica), non riesce a render conto dell’effettivo agire degli scienziati. La storia della scienza sarebbe infatti per Lakatos (come pure per Kuhn e per Feyerabend) il banco di prova di una qualsiasi metodologia, tanto che questa dovrebbe essere abbandonata qualora prospettasse dei comportamenti che non vengono riscontrati nella storia stessa.

Resta ancora da vedere fino a che punto tale tesi sia sostenibile o, detto in altri termini, fino a che punto una metodologia sia assimilabile a una teoria scientifica, e quindi soggetta ad essere falsificata da comportamenti in contrasto con essa.

Ciò costituirà l’argomento dell’ultimo capitolo, in cui si esaminerà la richiesta popperiana di considerare le metodologie come norme stabilite convenzionalmente, e non come teorie empiriche da sottoporre alla prova dei fatti.